martedì 4 giugno 2013

Libertà d'informazione: notizie dal web

Libertà d’informazione, Reporter Senza Frontiere classifica l’Italia al 57simo posto: dopo Ungheria e Moldavia 
Pubblicato il 30-01-2013


Rapporto-Giornalisti-senza frontiereDopo le cosiddette Primavere arabe e gli altri movimenti di protesta che hanno causato molti “saliscendi”, la Classifica della Libertà di Stampa 2013 di Reporter Senza Frontiere segna un “ritorno alla normalità”. «La posizione in classifica di molti Paesi non è più attribuibile ai considerevoli sviluppi politici. La classifica di quest’anno rappresenta una più attenta riflessione degli atteggiamenti e delle intenzioni dei governi nei confronti della libertà degli organi di informazione a medio e lungo termine» si legge nella nota pubblicata da Rfs Italia. Gli stessi tre Paesi europei che guidavano la classifica lo scorso anno detengono le prime tre posizioni anche quest’anno. Per il terzo anno consecutivo, la Finlandia si è distinta come il Paese che più rispetta la libertà di informazione. E’ seguita da Olanda e Norvegia. Nonostante siano stati considerati molti criteri, che vanno dalle legislazioni in materia degli Stati alla violenza contro i giornalisti, i Paesi democratici occupano la testa della classifica, mentre quelli dittatoriali occupano le ultime tre posizioni. La maglia nera per la libertà di stampa va nuovamente agli stessi tre paesi del 2012: Turkmenistan, Corea del Nord e Eritrea. ma l’Italia non è da meno attestandosi al 57° posto.
LA DEMOCRAZIA  FAVORISCE LA LIBERTA’ DI STAMPA – «La Classifica della Libertà di Stampa 2013 pubblicata da Reporter senza frontiere non prende in considerazione diretta il tipo di sistema politico; risulta chiaro tuttavia che le democrazie offrono una migliore protezione alla libertà al fine di produrre e far circolare notizie e informazioni accurate, rispetto ai Paesi dove i diritti umani vengono spesso sbeffeggiati» ha dichiarato il segretario generale di Rsf, Christophe Deloire.
L’INDICATORE – In occasione della pubblicazione della Classifica della Libertà di Stampa 2013, Reporter senza frontiere pubblica per la prima volta un “indicatore” annuale globale della libertà dei media nel mondo. Questo nuovo strumento analitico misura il livello complessivo della libertà di informazione nel mondo e la performance dei governi mondiali nella loro completezza per quanto riguarda questa libertà fondamentale. Vista la progressiva affermazione delle nuove tecnologie e l’interdipendenza tra governi e popoli, la libertà di produrre e diffondere notizie e informazione in senso lato ha bisogno di essere valutata sia a livello mondiale che a livello nazionale. Oggi, nel 2013, il suddetto “indicatore” della libertà dei media si fissa a 3395; essendo il primo, rappresenterà il punto di riferimento per gli anni a seguire. Tale indicatore può anche essere “scomposto” regionalmente e, attraverso una ponderazione basata sulla popolazione di ciascuna regione, può essere utilizzato per produrre un punteggio che va da 0 a 100, dove lo zero rappresenta un totale rispetto per la libertà di informazione.
NATALE, RESTA CRITICA POSIZIONE DELL’ITALIA SULLA LIBERTA’ D’INFORMAZIONE – «Anche il rapporto 2013 di Reporter senza Frontiere sulla libertà di stampa nel mondo conferma la situazione critica dell’Italia», lo afferma Roberto Natale Ex Presidente della Fnsi, ora candidato al Senato per Sinistra Ecologia Libertà in Umbria. Sostanzialmente immutata la posizione del nostro Paese (da 61esimo a 57esimo): «nonostante il passaggio dal governo Berlusconi a quello Monti, restiamo ben lontani dalla gran parte delle democrazie dell’Europa occidentale», continua Natale, perché «la diffamazione deve ancora essere depenalizzata e le istituzioni ripropongono pericolosamente leggi-bavaglio. E’ una classifica che imbarazza non meno delle graduatorie finanziarie, e che impegna la coalizione progressista ad una decisa azione di riforma nella prossima legislatura. Bisogna far risalire l’Italia, prosegue l’esponente di Sel, intervenendo sui conflitti di interesse e sulle concentrazioni pubblicitarie e cancellando tutte le forme di intimidazione legislativa all’attività dei giornalisti e dei blogger».

La tecnica è umana e sociale: Raymond Williams

Raymond Williams, Televisione, tecnologia e forma culturale

Sembra ormai quasi banale dire che la televisione fa parte di ‘un intero modo di vita’,
di accogliere e concepire il mondo, in particolare in Occidente. Nonostante l’ovvietà di
questa affermazione il profondo senso storico e filosofico della televisione resta ancora
da scoprire.  In quest’ottica il volume del critico britannico Raymond
Williams  offre una risposta indicativa. Per Williams la televisione non è mai una
questione meramente tecnica, non si tratta di uno strumento ma, come dice l’autore, di
una forma culturale. Se vogliamo parlare di tecnica, dobbiamo evitare di renderla
astratta e distaccata dalle sue condizioni storiche e sociali. In parole povere, e qui ci si
trova vicino ad alcune considerazioni di Heidegger, non si tratta mai di un rapporto tra
la tecnica e il sociale; la tecnica è già umana e sociale. Nella stessa vena diventa
fuorviante parlare di un rapporto tra la televisione e la società; non esiste una storia
autonoma dell’una o dell’altra: si tratta di una configurazione storica in atto. Come tale,
la televisione si propone come risposta allo sviluppo di nuove esigenze sociali, politiche
ed economiche. Con questa prospettiva, Williams ci spinge a considerare la televisione
in termini che ci portano ben oltre la storia specifica dei media e della comunicazione di
massa. L’autore insiste che la forma culturale sostenuta dalla televisione rende
impossibile ridurre la questione alla dimensione squisitamente tecnologica di un mezzo
autonomo. Nelle domande e nelle sfide che orbitano attorno alla televisione come
pratica culturale Williams vede giustamente la riconfigurazione radicale della società
occidentale del ventesimo secolo.

L'uomo che insegnò l'ABC all'Italia grazie alla televisione


Non è mai troppo tardi


Non è mai troppo tardi: questo è il titolo di una famosa trasmissione televisiva mandata in ondia a cadenza giornaliera dalla RAI nel secondo dopoguerra.Il programma era condotto da Alberto Manzi e il fine era quello di insegnare  a leggere e a scrivere agli italiani che avevano superato l'età scolare, ma che non ne erano ancora in grado. Si trattava di vere  e proprie lezioni, tenute da Manzi a classi formate da adulti e analfabeti, nelle quali Manzi si serviva di filmati, supporti audio, dimostrazioni pratiche.Fu proprio grazie alla televisione che tutti impararono la lingua italiana, mentre precedentemente in ogni regione si parlava il relativo dialetto. 

La dibattuta questione dell'invenzione della televisione

L'idea di trasmettere a distanza immagini trasformate in segnale elettrico fu nel 1842 di un inventore scozzese, Alexander Bain. Ma bisogna dire che alla realizzazione della televisione si è arrivati attraverso una serie di piccoli passi, tutti egualmente significativi. La prima data da citare è il 1876: in quell'anno, il fisico tedesco Eugen Goldstein scoprì che in un tubo a vuoto (cioè un tubo di vetro svuotato dall'aria, nel quale le due estremità erano a un diverso potenziale elettrico) scorreva un flusso di radiazioni che andava dal polo negativo ("catodo") a quello positivo ("anodo"). Quelle radiazioni , che nel punto di arrivo generavano un fenomeno di fluorescenza, furono chiamate da Goldstein "raggi catodici". Poi, nel 1888, il tedesco Heinrich Hertz scoprì le radioonde. Nel 1894 l'italiano Guglielmo Marconi scoprì che un lungo filo verticale collegato a un ricevitore di radioonde rendeva i segnali molto più forti e chiari: era stata inventata l'antenna. Nel 1906 il fisico americano Reginald Fessenden realizzò la prima trasmissione radio a modulazione di ampiezza, e nel 1919 Edwin Armstrong costruì un più efficente ricevitore che negli anni Venti permise di dare il via alle trasmissioni radio pubbliche. Nel frattempo, era stato scoperto che un fascio di raggi catodici modulato da un campo magnetico poteva "dipingere" un'immagine su uno schermo. Nel 1923 l'inglese John Baird realizzò il primo impianto televisivo: sei anni dopo la BBC iniziò le trasmissioni. La prima telecamera vera e propria venne inventata nel 1934, mentre la prima trasmissione a colori venne realizzata nel 1953, negli Stati Uniti. 

Quest'anno il primo computer compie 65 anni!

Si chiamava "Small-Scale Experimental Machine", ma i suoi creatori la soprannominarono  "Baby Machine". Era il 21 giugno del 1948 quando Tom Kilburn e Freddie Williams, due ricercatori dell'Università di Manchester in Inghilterra, realizzarono il primo calcolatore digitale: un computer in grado di memorizzare un programma ed eseguirlo. Una scoperta che avrebbe rivoluzionato il mondo e letteralmente cambiato la vita a intere generazioni.

La storia dei calcolatori elettronici è cominciata all'inizio degli anni Quaranta. In Europa si combatteva la Seconda guerra mondiale: gli esperti di criptografia inglesi erano impegnati a decodificare le istruzioni di Berlino ai sottomarini tedeschi. Ma i calcoli erano lunghi e complicati. Così, nel 1943, gli scienziati al servizio del governo britannico costruirono una prima macchina, il Colossus da 30 tonnellate. Il computer aveva però un piccolo difetto: andava riprogrammato ogni volta che bisognava eseguire un'operazione.

Nel 1948 Tom Kilburn, Freddie Williams e i loro colleghi dell'Università di Manchester trovarono la soluzione al problema: la loro "Baby Machine" fu la prima macchina capace di memorizzare i programmi. La memoria del computer era di soli 128 bit e per la prima volta utilizzava il codice binario. Le dimensioni non erano proprio da Personal Computer: la "Baby" pesava circa una tonnellata ed era alta due metri. Nel giugno del 1948, Kilburn scrisse il primo programma per la macchina e Baby Machine si illuminò, analizzando i dati per quasi un'ora, ma alla fine fece il miracolo e riuscì ad arrivare al risultato corretto. Era nato il primo pc della storia. 

domenica 19 maggio 2013

Il personaggio che rappresenta il tema di questo blog

Il personaggio che meglio rapprenta il tema del mio blog è, ovviamente, Umberto Eco.
Lo scrittore piemontese, ha infatti la prerogativa di aver prodotto numerose opere nelle quali la trama ruota attorno all'importanza di altri libri. Oltre a "Il nome della rosa" ricordiamo anche "Il pendolo di Foucault", "La misteriosa fiamma della regina Loana", "La memoria vegetale", "Sulla letteratura", "Il cimitero di Praga".

Le tecniche moderne: la stampa offset

L'inchiostro viene introdotto nel calamaio (6 nella figura a destra) e da qui passa al gruppo di macinazione (7), formato da numerosi rulli di diverso diametro che ruotando rendono fluido l'inchiostro stesso. Alcuni di questi rulli hanno anche un movimento trasversale, che consente di rendere uniforme la distribuzione dell'inchiostro sulla lastra. La lastra è avvolta su un cilindro (1) e viene toccata dai rulli bagnatori (5) e dai rulli inchiostratori. I primi vi trasferiscono un velo di acqua di bagnatura, generalmente una soluzione di acqua e additivo preferibilmente anche con alcol isopropilico, i secondi l'inchiostro. Gli inchiostri, che sono grassi, aderiscono solo alla parte lavorata della lastra (grafismo), mentre l'acqua, per il principio di idrorepellenza, non bagna gli stessi grafismi perché respinta dall'inchiostro (grasso). L'acqua di bagnatura serve quindi a definire con precisione i contorni dei grafismi. Il rapporto fra acqua di bagnatura e inchiostro non è costante, varia ovviamente in funzione di altri parametri come la velocità di trasferimento. È fondamentale che il rapporto sia equilibrato e questo richiede notevole padronanza del processo da parte degli operatori. La lastra trasferisce quindi le immagini sul telo di caucciù (2), che riceve l'inchiostro ma non l'acqua, il quale trasferisce la stampa sul foglio (8) con l'ausilio del cilindro di contropressione (3).
Fonti:http://it.wikipedia.org/wiki/Stampa_offset:

La diffusione dell'invenzione di Gutenberg

Nel 1455, il tedesco Johann Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili.

Oltre all'innovazione nella tecnica, la vera novità consistette nella diffusione dei libri: grazie alla facilità e alla velocità con cui potevano essere pubblicati, questa invenzione rappresentò un contributo decisivo all'alfabetizzazione di massa.


Il primo libro stampato con questa tecnica fu la Bibbia. Si tratta della celebre Bibbia a 42 linee (dal nome delle linee di testo presenti per ogni pagina), stampata nel 1454 a Magonza.
L’invenzione di Gutenberg ebbe una rapida diffusione. Nel 1464 nelle differenti città tedesche esistevano delle fabbriche di stampa. Nel 1466 i primi libri furono stampati a Roma e Venezia, nel 1470 a Parigi, nel 1483 a Londra. Fino al 1500 i più importanti centri di stampa si trovavano a Venezia. In seguito il primato passò a Parigi e successivamente ad Anversa. Circa la metà dei libri stampati erano a carattere religioso. Ma successivamente uno spazio fu occupato dalle opere degli Umanisti. Gli stampatori  erano, soprattutto, uomini sapienti che resero le loro botteghe dei centri di riunione culturale.

domenica 12 maggio 2013

Un brevetto molto discusso


Samsung intende brevettare il tipo di piega e di ombra che si va a formare e generare sfogliando virtualmente una pagina di una rivista digitale o di un libro.
Secondo voi tale animazione merita un brevetto?

Un brevetto rivoluzionario : l'inizio della diffusione dei libri




Un' invenzione che segnò la storia : la stampa a caratteri mobili ideata dal tedesco Johann Gutenberg. La tecnica consiste nell'allineare piccoli blocchetti metallici con in cima un carattere in rilievo in modo da ottenere, carattere dopo carattere, parole, frasi, pagine, libri interi.



domenica 5 maggio 2013

Le macchine di Leonardo


La preziosità degli scritti di Leonardo Da Vinci protetta dalla caratteristica scrittura speculare





Il sapere custodito nelle pagine dell' Encyclopédie di Diderot e D'Alambert









Diderot e D'Alembert , Encyclopédie, ou dictionnaire raisonné des sciences des arts et des métiers, Parigi, 1751-1772

Il libro come simbolo della verità

Il libro diventa a tal punto simbolo della verità che custodisce, e che
svela a chi sappia interrogarlo, che per chiudere una discussione,af-
fermare una tesi, distruggere un avversario, si dice"E' scritto qui".
Siamo sempre dubitosi della nostra memoria animale "mi pare di
ricordare che..ma non sono sicuro" mentre accade che la memoria
vegetale venga esibita per togliere ogni dubbio: "l'acqua è davvero
H2O, Napoleone è davvero morto a Sant'Elena, lo dice l'enciclopedia.
Nella tribù primitiva il vecchio assicurava: "Così sono accadute le cose
nella notte dei tempi, lo assicura quella tradizione che si è tramandata
di bocca in bocca sino ai giorni nostri", e la tribù dava fiducia alla tradi-
zione. Oggi i libri sono i nostri vecchi. Anche se sappiamo che sovente
sbagliano, li prendiamo in ogni caso sul serio. Chiediamo loro di darci
più memoria di quanto la brevità della nostra vita ci consenta di accumulare.


U.Eco, La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia, 2007,Bompiani

L'invenzione della scrittura

Ma con l'invenzione della scrittura è nato a poco a poco il terzo tipo di
memoria, che ho deciso di chiamare vegetale perchè, anche se la perga-
mena era fatta con pelle di animali, vegetale era il papiro e con l'avven-
to della carta (sin dal XII secolo) si producono libri con stracci di lino, ca-
napa e tela - e infine l'etimologia sia di "biblos" che di "liber" rinvia alla 
scorza dell'albero.
I libri esistono prima della stampa, anche se all'inizio avevano la forma di
 un  rotolo e solo a poco a poco sono divenuti sempre più simili all'oggetto
 checonosciamo. Il libro, in qualsiasi forma, ha permesso alla scrittura di per-
sonalizzarsi: rappresentava una porzione di memoria, anche collettiva, ma 
selezionata secondo una prospettiva personale. [...] La lettura diventa un dia-
logo ma undialogo - e questo è il paradosso del libro - con qualcuno che non è 
di fronte a noi, che è scomparso forse da secoli, e che è presente solo come scrittura.

U.Eco, La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia, 2007,Bompiani

giovedì 25 aprile 2013

Chartres: dettaglio del portale reale (facciata occidentale)


Cattedrale di Chartres, dettaglio, vetrata



Cattedrale di Chartres - esterno


Teorie sui metodi di costruzione delle piramidi egizie: gli scritti di Erodoto e Diodoro Siculo


I principali dubbi sulla costruzione delle piramidi si concentrano soprattutto sul modo in cui i blocchi furono posti in cima alla struttura. Non esistono prove archeologiche o storiche che aiutino a risolvere il dubbio. Buona parte della discussione sulle tecniche edilizie riguarda le poche prove a disposizione.
I racconti storici della costruzione delle piramidi egizie non permettono di capire la tecnica utilizzata per sollevare i blocchi. Nonostante questo molti egittologi fanno riferimento a questi scritti quando discutono il sollevamento dei blocchi. Talete, secondo Ieronimo, visitò le piramidi egizie nel VII secolo a.C. e, usando triangoli simili, triangoli rettangoli e le ombre delle piramidi, ne misurò l'altezza ed il volume. I primi racconti storici della costruzione di questi monumenti risalgono a secoli dopo la costruzione delle piramidi, e sono opera di Erodoto (V secolo a.C.) e Diodoro Siculo (I secolo a.C.). Lo scritto di Erodoto recita:
« Questa piramide era fatta come le scale, che alcuni chiamano gradini ed altri livelli. Quando questo la sua prima forma era stata completata, gli operai usavano corti tronchi di legno come leva per sollevare il resto delle pietre; sollevavano i blocchi dal suolo sopra il primo livello di gradini; quando la pietra era stata sollevata, era posta su un nuovo livello che poggiava sul primo, e da qui tramite la leva veniva spostata al successivo. Può darsi che ci fosse una nuova leva su ogni livello di gradini, o forse era la stessa, portatile, che spostavano di livello; resto dubbioso su questo punto, dato che vengono citati entrambi i metodi. La cosa certa, però, è che la parte superiore della piramide era finita per prima, per poi passare al livello subito sottostante, completando il primo in basso per ultimo. »
La versione di Diodoro Siculo dice:
« Ed egli disse che la pietra era stata trasportata da grande distanza dall'Arabia, e che gli edifici erano eretti tramite rampe di terra, dato che le macchine per sollevare non erano ancora state inventate; e la cosa più sorprendente è che, nonostante queste grandi strutture siano state erette in un'area circondata da sabbia, non restano tracce di queste rampe o della lavorazione delle pietre, tanto che non sembra il risultato del paziente lavoro degli uomini, ma piuttosto come se l'intero complesso fosse stato posto qui già completato da qualche dio. Ora gli egizi tentano di rendere queste cose una meraviglia, parlando di rampe che sarebbero state costruite con sale e che, quando il fiume fu fatto scorrere contro di esse, si sciolsero dilavandosi e non lasciando traccia senza bisogno di intervento umano. Ma in verità, quasi sicuramente non fu fatto in questo modo! Piuttosto, la stessa moltitudine di operai che eressero i tumuli riportarono l'intera massa di materiale nel suo luogo di origine; dicono che 360 uomini furono costantemente impegnati nel lavoro, prima che l'intero edificio fosse finito alla fine di 20 anni di lavoro. »
Si sa che sia le opere di Erodoto che di Diodoro Siculo contengono grossi errori, e che il Siculo viene spesso accusato di prendere spunto dalle opere di Erodoto. La descrizione fatta da Erodoto dello schiavismo è uno dei miti più persistenti riguardo al processo di costruzione, e quella di Diodoro Siculo del trasporto delle pietre dall'Arabia è scorretto. Dato che entrambi vengono considerati inaffidabili, è impossibile scegliere quale sia la tecnica corretta a partire dai documenti storici. In ogni caso queste opere forniscono alcune prove sia per l'uso di macchine di sollevamento che per l'uso delle rampe.


Fonte:http://it.wikipedia.org/wiki/Teorie_sulla_costruzione_delle_piramidi_egizie

Riflessione di Eco tratta da "La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia"

I vecchi, che articolavano il linguaggio per consegnare a ciascuno le esperienze
 di coloro che li avevano preceduti, rappresentavano ancora, al suo livello più 
evoluto, la memoria organica, quella registrata e amministrata dal nostro
cervello. Ma con l'invenzione della scrittura assistiamo alla nascita della memoria 
minerale. Dico minerale perchè i primi segni vengono incisi su tavolette
 d'argilla, scolpiti su pietra; perchè fa parte della memoria minerale anche 
l'architettura, dato che dalle piramidi egizie sino alle cattedrali gotiche il tempio 
era anche una registrazione di numeri sacri, di calcoli matematici, e attraverso le 
sue statue o i suoi dipinti tramandava delle storie, degli insegnamenti 
morali, costituiva, insomma, come è stato detto, una enciclopedia in pietra. 


U.Eco, La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia, 2007,Bompiani

IL POTERE DEL LIBRO


Il libro era lo strumento senza il quale la conoscenza non poteva essere 
diffusa e tramandata. Perso un libro, anche il suo contenuto era perduto 
per sempre. L'intera vicenda de “Il nome della rosa” ruota intorno alla 
presunta esistenza di un libro di Aristotele considerato all'epoca proibito, in 
quanto possibile diffusore di idee contrarie alla dottrina cristiana. Coloro che
 all'epoca detenevano il potere religioso erano al contempo l'élite 
culturale, in grado, pertanto, di decidere come e se trasmettere determinati 
contenuti dei libri da loro posseduti.

GLI ARGOMENTI DI JORGE CONTRO IL RISO, UN PICCOLO SPEZZONE DEL FILM..


MAJOR THEMES - THE NAME OF THE ROSE


Eco, being a semiotician, is hailed by semiotics students who like to use his novel to explain their discipline. The techniques of telling stories within stories, partial fictionalization, and purposeful linguistic ambiguity are all apparent. The solution to the central murder mystery hinges on the contents of Aristotle's book on Comedy, of which no copy survives; Eco nevertheless plausibly describes it and has his characters react to it appropriately in their medieval setting - which, though realistically described, is partly based on Eco's scholarly guesses and imagination. It is virtually impossible to untangle fact / history from fiction / conjecture in the novel. Through the motive of this lost and possibly suppressed book which might have aestheticized the farcical, the unheroic and the skeptical, Eco also makes an ironically slanted plea for tolerance and against dogmatic or self-sufficient metaphysical truths - an angle which reaches the surface in the final chapters.
Umberto Eco is a significant postmodernist theorist and The Name of the Rose is a postmodern novel. The quote in the novel, "books always speak of other books, and every story tells a story that has already been told," refers to a postmodern ideal that all texts perpetually refer to other texts, rather than external reality. In true postmodern style, the novel ends with uncertainty: "very little is discovered and the detective is defeated" (postscript). William of Baskerville solves the mystery in part by mistake; he thought there was a pattern but it in fact, numerous "patterns" were involved and combined with haphazard mistakes by the killers. William concludes in fatigue that there "was no pattern". Thus Eco turns the modernist quest for finality, certainty and meaning on its head, leaving the overall plot partly the result of accident and arguably without meaning.[2] Even the novel's title alludes to the possibility of many meanings or of nebulous meaning; Eco saying in the Postscript he chose the title "because the rose is a symbolic figure so rich in meanings that by now it hardly has any meaning left".





PLOT SUMMARY - THE NAME OF THE ROSE


Franciscan friar William of Baskerville and his novice Adso of Melk travel to a Benedictine monastery in Northern Italy to attend a theological disputation. As they arrive, the monastery is disturbed by a suicide. As the story unfolds, several other monks die under mysterious circumstances. William is tasked by the abbot of the monastery to investigate the deaths as fresh clues with each murder victim lead William to dead ends and new clues. The protagonists explore a labyrinthine medieval library, discuss the subversive power of laughter, and come face to face with the Inquisition. William's innate curiosity and highly-developed powers of logic and deduction provide the keys to unravelling the mysteries of the abbey.


Fonti: http://en.wikipedia.org/wiki/The_Name_of_the_Rose

PLOT SUMMARY - THE NAME OF THE ROSE


Franciscan friar William of Baskerville and his novice Adso of Melk travel to a Benedictine monastery in Northern Italy to attend a theological disputation. As they arrive, the monastery is disturbed by a suicide. As the story unfolds, several other monks die under mysterious circumstances. William is tasked by the abbot of the monastery to investigate the deaths as fresh clues with each murder victim lead William to dead ends and new clues. The protagonists explore a labyrinthine medieval library, discuss the subversive power of laughter, and come face to face with the Inquisition. William's innate curiosity and highly-developed powers of logic and deduction provide the keys to unravelling the mysteries of the abbey.


Fonti: http://en.wikipedia.org/wiki/The_Name_of_the_Rose

THE NAME OF THE ROSE


The Name of the Rose is the first novel by Italian author Umberto Eco. It is a historical murder mystery set in an Italian monastery in the year 1327, an intellectual mystery combining semiotics in fiction, biblical analysis, medieval studies and literary theory. First published in Italian in 1980 under the title Il nome della rosa, it appeared in English in 1983, translated by William Weaver.


The Name of the Rose

1st edition (Italian)
Author(s)
Umberto Eco
Original title
Il Nome della Rosa
Country
Italy
Language
Italian
Genre(s)
Historical novel, Mystery
Publisher
Bompiani (Italy) Harcourt (US)
Publication date
1980
Published in English
1983
Followed by
Foucault's Pendulum


sabato 13 aprile 2013

Sequenza

Questa sequenza di immagini ha lo scopo di farvi riflettere. Guardate queste foto in questa sequenza, senza soffermarvi sull'origine e sul significato di ogni singola fotografia. Cerchiamo di coglierne il filo conduttore..










Parole in libertà...

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Usufruire, universale
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Z
Benvenuti!
L'idea di questo blog nasce in parallelo al corso di "storia della tecnologia", tenuto dal professor Vittorio Marchis presso il Politecnico di Torino. "La tecnologia e il libro" è stato creato con l'intento di evidenziare come il passaggio che si è verificato nella storia da un tipo di conoscenza elitaria a una conoscenza diffusa e accessibile sia avvenuto grazie all'inversione del rapporto tra libro e tecnologia : si è passati ad avere il libro come supporto al sapere tecnologico (e alla cultura in generale) ad avere la tecnologia al servizio della diffusione del libro, inteso anche come informazione. Per ora non voglio aggiungere altro, lo scopo della mia introduzione è certamente quello di esporre il contenuto del blog, ma voglio incuriosirvi e spingervi a scoprire post dopo post che cosa intendo con questa "inversione di rapporti".
"Il nome della rosa" di Umberto Eco sarà il riferimento da cui trarrò spunto per i miei interventi.
Buona lettura!!